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Il virtuosismo (dimenticato) di Alessandro Yon

08/06/2017 Mattia Rossi Musica
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StFrancisXavierYonCasavantIl periodo musicale a cavaliere tra l’Otto e il Novecento fu, per l’Italia, uno dei più originali e fecondi (non tanto da un punto di vista quantitativo, ma qualitativo). Eppure, ad oggi, quella fetta di musica italiana viene considerato (quasi) solamente in relazione al melodramma: il sinfonismo e il concertismo di quel periodo sono ancora relegati in ampie zone d’ombra. E proprio a questa piccola porzione di storia musicale patria appartiene un nome sconosciuto ai più, quello di Pietro Alessandro Yon. Spesso considerato come figura “minore”, Yon rappresenta uno dei nomi più originali e, come si vedrà, più attuali della musica del secolo scorso.

Di origini piemontesi (Settimo Vittone, Torino), Yon nacque nel 1886 e studiò dapprima a Ivrea con Angelo Burbatti, poi a Milano e a Torino con Roberto Remondi e, infine, a Roma con, tra gli altri, Giovanni Sgambati (altro grande dimenticato…) per il pianoforte e Remigio Renzi per l’organo. La sua altissima tecnica lo fece subito imporre come uno degli organisti più virtuosi del tempo portandolo, così, ad una carriera concertistica in tutto il mondo. È il 1907 quando, dopo una tournée, Yon decise di stabilirsi negli Stati Uniti come organista titolare alla chiesa di San Francesco Saverio di New York: negli States, Yon divenne un vero e proprio caposaldo della musica contemporanea. Ma non nella sua Italia: per questo, mosso da “nostalgia” per il Belpaese, nel 1920 decise di rientrare in Italia dove venne nominato secondo (!) organista presso la Cappella Giulia. Di lì a poco Yon, resosi conto del provincialismo che musicalmente ancora regnava nello Stivale, prese l’irrevocabile decisione di lasciare il posto di lavoro per stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti diventando cittadino americano. Qui riprese la sua trionfale carriera che lo portò a ricoprire il prestigioso e ambito posto di organista titolare della St. Patrick Cathedral di New York, incarico che mantenne fino alla morte avvenuta nel 1943.

Molte furono le innovazioni del compositore piemontese. Negli Usa, Yon aprì una scuola (la Yon Music Studios) e introdusse, per primo, il concerto d’organo solistico. Yon seppe presentare un’innovativa forma di concerto: egli, infatti, riuscì a “spettacolarizzare” l’esecuzione con un virtuosistico uso del pedale e dei manuali portando l’organo e la letteratura ad esso dedicata al di fuori del solo ambito religioso. Fu grazie a Yon se personaggi come Marco Enrico Bossi e Ulisse Matthey sfondarono nel Nuovo Mondo proprio come concertisti.

A tentare di divulgare in Italia il nome e la musica del grande Yon, ora, ci prova la Bottega Discantica con un bel cd monografico in cui campeggia, dopo alcune composizioni per organo solo, il fondamentale Concerto gregoriano per organo e pianoforte interpretato dalle mani di Andrea Toschi (organo) e Marco Alpi (pianoforte).YON

Il Concerto gregoriano del 1920 è la pagina sulla quale ruotò gran parte del lavoro yoniano: un’opera pensata per organo e orchestra, trascritta per organo e pianoforte e riscritta, poi, anche per solo organo. Di certo, quella per organo e pianoforte è la versione più originale: due strumenti così apparentemente simili eppure così diametralmente opposti per storia e repertorio affiancati in un unico concerto (Yon, qui, fu certamente influenzato dall’uso d’oltreoceano di affiancare, anche nei luoghi di culto e nelle chiese, i due strumenti). Passaggi di ostico virtuosismo si affiancano a momenti di lirismo puro, reminiscenze postromantiche d’oltralpe si alternano a forme più classicheggianti in un dialogo concertante dal quale, meglio che ogni altra pagina, emerge il genio del compositore italiano.

La biografia di Yon e le sue arditezze non devono far stupire se il suo nome compare tra i grandi compositori americani del Novecento come Charles Ives o Samuel Barber. Eppure, Yon, fu ed è un orgoglio italiano.

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Mattia Rossi

Mattia Rossi

Nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1986. Orgogliosamente piemontese e monferrino: ama la tavola, il vino e la nebbia della sua terra. Ha studiato Canto gregoriano a Milano e Lettere a Vercelli. Si occupa prevalentemente di musica (tutta: dal gregoriano alle avanguardie) e recensioni librarie. Ha al suo attivo diversi articoli sul canto gregoriano, sulla musica sacra, sulla musica nella Commedia di Dante e sulla musica trobadorica pubblicati in riviste internazionali. È anche autore dei volumi "Le cetre e i salici" (Fede & Cultura, Verona 2015) e "Rumorosi pentagrammi. Introduzione al futurismo musicale" (Solfanelli 2018). Giornalista, collabora con «Il Giornale», «Il Giornale OFF» e «Il Foglio».

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